Quando un decreto ti impone di fermarsi, bisogna mettere il motore al minimo e rallentare, spesso fermarsi del tutto. Il rumore intorno inevitabilmente si affievolisce, sempre di più, e nel silenzio si può fare finalmente un po’ di ordine, ascoltare, ma anche vedere.
Ciò che i miei occhi e le mie orecchie hanno visto definirsi con tratti sempre più nitidi in questo tempo di isolamento, e ciò con cui dobbiamo fare i conti, è il delirio di onnipotenza che ha contagiato, in modo differente ma inevitabile ogni essere umano.
Mentre l’epidemia si estendeva in Cina, mietendo sempre più vittime, qualche voce in Italia si levava, chiedendo preventivamente la chiusura di confini, di intraprendere misure che impedissero il presentarsi in territorio nazionale, dello stesso tragico scenario asiatico.
Le scelte e lo sviluppo degli eventi hanno dimostrato tutta la scelleratezza delle classi dirigenti, anche in altri stati europei che hanno pensato bene di deridere in primo luogo il modus operandi italiano, per poi ricalcarne alla lettera tutte le fasi.
Incredibile come un corpuscolo di dimensioni infinitesimali sia riuscito a scuotere i potenti, convinti fino a un mese fa, di poter giocare con la vita dei cittadini con il solo scopo di alimentare i propri interessi.
Pensavano che la resa dei conti non sarebbe mai giunta e invece adesso la mancanza di un posto letto in rianimazione negli ospedali della propria regione spaventa anche loro, consapevoli di non essere immuni al contagio e di rischiare di morire, proprio come quei cittadini costretti da tempo a rinunciare a curarsi in modo dignitoso ed umano, in nome dei fantomatici tagli per far quadrare i bilanci.
Ci voleva il COVID-19 per scoprire la follia di un Patto di Stabilità che fossilizza il nostro sviluppo e l’inutilità di un’istituzione come l’Unione Europea così come concepita. Se questa Unione fosse stata davvero dei popoli, forse per tutelarli avrebbero dovuto imporre dall’inizio blocco delle attività e fondi a sostegno per tutti, senza discutere, perché qui belli miei, si rischia di morire, e nessuno deve andare perso. Invece siamo sacrificabili.
Sono sacrificabili tutti quelli in prima linea negli ospedali a fronteggiare giorno e notte, incessantemente, l’emergenza. Adesso li ringraziamo, applaudiamo ai loro sforzi, sono eroi. Chissà se alla fine dell’emergenza torneremo ad aggredirli nei Pronto Soccorso sparsi sul territorio, e chissà che ne sarà di quelli che in questo momento si sono offerti come volontari in trincea.
Ci hanno chiesto da tempo di restare in casa, di chiudere le attività, di rallentare il contagio. Ma era impensabile restare a casa quando ci avevano detto che era solo una semplice influenza, con risvolti più severi per gli anziani. (Gli stessi che ostinatamente continuiamo a vedere in giro quasi quotidianamente, quelli che dovevamo proteggere e che forse perché non hanno nessuno, continuano ad esporsi a rischi)
Hanno continuato a dirci che morivano persone con patologie pregresse, per rassicurarci, come se quelle vite non avessero avuto valore e come se in assenza del contagio non avrebbero continuato a vivere, nonostante tutto. Quale delirio! Se poi abbiamo visto cadere giovani, adulti e neonati finiti in rianimazione per lo stesso motivo.
Era inconcepibile fermare le attività di regioni che vivono di terziario, lo sostenevano con forza gli stessi imprenditori e governatori che sono arrivati adesso a supplicare misure più stringenti perché la situazione è sfuggita di mano.
È inaccettabile restare chiusi in casa così a lungo e rinunciare alla corsetta, alla festa di compleanno del bambino, all’uscita in pizzeria, alla tintarella sugli scogli. Non succederà a me, non mi importa degli altri.
Finchè uno di quegli altri è una persona che conosci e viene contagiata e in un peggioramento repentino viene portata via per sempre da te, senza concessione nemmeno di un ultimo saluto. Sparisce in un buco nero dal quale non riemergerò più e non le potremo dire: “Scusa, forse dovevamo restare a casa”.
Chissà se la lunga fila di mezzi militari carichi di salme da portare altrove perché nemmeno al cimitero c’è più posto, serve a capire che non siamo onnipotenti, che la vita di tutti è preziosa e che l’egoismo lo dovremmo mettere da parte, perché il mancato rispetto delle regole da parte di una sola persona, mette a rischio l’intera comunità.
Chissà se tutta questa accortezza all’igiene e all’evitare il contagio ce la ricorderemo quando passerà tutto e i tanti immunodepressi (per vari motivi) potranno, forse, con molta cautela uscire il naso fuori di casa e ricominciare a vivere anche loro, come noi.
Chissà se quando le cose miglioreranno, ci ricorderemo di cosa vale nella vita e smetteremo di sopportare con insofferenza tutti gli impegni della nostra routine che adesso, forzatamente, non possiamo portare a termine.
Io, da cattolica, questa quaresima sono certa di averla impressa nella mia mente per il resto della mia vita, con l’impossibilità di accostarsi ai sacramenti e con la fantastica opportunità di unirsi tutti in preghiera ritrovando i vari pezzi della comunità sparsi un po’ ovunque, grazie alla tecnologia e a due sacerdoti che come bravi pastori, ci accompagnano ogni giorno in questo momento di oscurità e di isolamento.
Chissà se ce lo ricorderemo, questo bagno di umiltà, e nel rispetto di tutti quelli che ingiustificatamente non ce l’hanno fatta, troveremo il coraggio di costruire quello che meritiamo: l’Umanità.
Antonella Epifani
Scritto
il 19 marzo 2018